lunedì 16 febbraio 2009

1.2 “La produzione Europea”

Paragonata alla produzione Disney o americana, in Europa il lavoro di autori come Émile Cohl, Benjamin Rabier e Ladislas Starevitch, per quanto di buona qualità, era pur sempre ad un livello artigianale. Mentre gli studi di animazione russi si specializzarono nella produzione didattica, i disegnatori tedeschi (come Viking Eggeling, Hans e Oskar Fischinger, Walter Ruttman e Hans Richter) si diedero alla sperimentazione astratta.


Un’importanza rilevante è la carriera dell'animatrice tedesca Lotte Reiniger, che tra il 1923 e il 1926, prima di lavorare anche da noi, diede vita al primo lungometraggio di animazione, "Le avventure del principe Achmed".

"Le avventure del principe Achmed" di Lotte Reiniger, 1926

Così dall’inizio degli anni Trenta, mentre in America si sviluppano tecniche qualitativamente migliori, il cinema di animazione europeo si differenzia e traccia il suo percorso attraverso alternative visive: dalle realizzazioni su vetro di Berthold Bartosch con i disegni espressionisti di Franz Masereel (L'idée, 1931), allo "schermo di spilli" di Alexandre Alexeieff ("Una notte sul Monte Calvo", 1933, su musiche di Musorgskij); dai collage dei materiali più eterogenei di Stan Brackage fino alle immagini tracciate direttamente su pellicola, che diedero fama a Len Lye ("The Colour Box", 1935) e Norman McLaren ("Mosaic", 1965).

Con l’avvento della seconda guerra mondiale gli artisti ,in Italia come in Europa, furono obbligati a rinchiudersi nei propri atelier, dove per altro le presenze si erano enormemente ridotte a causa del richiamo alle armi.

"L'idée" di Berthold Bartosch, 1931

Oltre alle presenze cominciavano a scarseggiare anche le materie prime, tutto era razionato.
E’ curioso notare come la carenza di mano d’opera esperta e specializzata in quegl’anni provocò una stupefatta collaborazione tra cartoonist e autori che, senza volere, ebbe un effetto benefico con gioco di scambi per il quale diversi artisti entrarono in contatto.
Moltissimi artisti hanno iniziato disegnando personaggi a fumetti, anche se il cartone animato insieme alla grafica figurativa, cioè il fumetto, non aveva un riscontro paragonabile a quello del cinema dal vero. In Italia spiccano alcuni nomi: dal cartellonista Guido Presepi (autore del lungometraggio "Vita di Mussolini" del 1927 mai finito), e "topo di campagna e topo di città"1935), dagli autori di fumetti Carlo e Vittorio Cossio (animazione di "Zibillo e l’orso"del 1932), ad Antonio Rubino e Nino Pagot, quest’ultimo importante per lo sviluppo insieme al fratello Toni del primo lungometraggio animato in Italia.

Oltre a Guido Presepi e Carlo e Vittorio Cossio, Antonio Rubino nel 1908, anno in cui nasce il "Corriere dei Piccoli", volle pubblicare alcuni eroi importati dai fumetti americani, come "Katzenjammer Kids" di Dirks (da noi conosciuti come "Bibì e Bibò") fino a "Happy Hooligan" di Opper (da noi conosciuto come "Fortunello") senza però lasciare gli originali balloon. Successivamente negli anni della guerra crea il personaggio "Caporal C.Piglio" per il giornale "La tradotta". Grazie alla collaborazione di alcuni artisti cartoonist collaudati, successivamente, ma si parla già degli anni tra il 1941 e il 1943 diventa famoso per il suo primo cartoon "Nel paese dei ranocchi" e per "Crescendo rossiniano", completati anche se in epoca di difficile reperirbilità della pellicola vergine.
Sempre dalla scuderia del "Corriere dei piccoli" l’artista Roberto Sgrilli realizza nel 1941 il cortometraggio a colori "Anacleto e la Faina", dove i soggetti ricordano un po’ lo stile zoomorfo di Disney, probabilmente voluto dallo stesso autore, dando vita a personaggi di fantasia piuttosto che investire il proprio talento, come fecero alcuni suoi colleghi, per inserti animati in favore di azioni belliche.

"Anacleto e la faina" di Roberto Sgrilli, 1941

"Nel paese dei ranocchi" di Antonio Rubino, 1943

Importante è anche l’attività di Luigi Liberio Pensuti, scenografo romano, che realizza sia film di natura didattico scientifica, come "La taverna della Tbc" e "Il crociato Novecento"del 1938, sia progetti d’animazione.
Nel 1943 le vicende disastrose della guerra avevano portato ad una spaccatura netta del paese: al nord con la repubblica di Salò il fascismo tenta di rimettere insieme i pezzi del proprio potere. Si sviluppa in alcune città il teatro di prosa e dal Cinevillaggio di Venezia, antitesi di Cinecittà a Roma, allestito nei padiglioni della
famosa Biennale d’Arte, si tenta in questo clima di sperimentare e dare più voce al cinema d’animazione.
A Firenze nel frattempo l’artista Piero Crisolini Malatesta era alle prese con due cortometraggi, "Chichibio" e "Beppe Padella" (che non fu ultimato), grazie all’aiuto di Carlo Bachini (figlio di Romolo Bachini che nel 1935 provò il primo lungometraggio animato "Pinocchio") e a Demetrio Laganà.
Chichibio fu ultimato nel 1944 e la trama è ispirata ad una novella del Decameron di Boccaccio.
Gli anni tra il 1930 e il 1940 sono un nuovo stimolo alla creatività anche se l’invenzione del sonoro nel nostro paese arriva quando già le ombre della guerra cominciarono a concretizzarsi. A quel tempo le insegne pubblicitarie annunciavano i film del cinema sonorizzato e parlante garantito al 40, al 60 e al 100 per cento. Insomma un evento straordinario!
E se il sonoro si fa largo nel cinema in quegli anni, in ambito artistico questa novità sembrò gettare nuove basi per la sperimentazione. Si può certo affermare che, nonostante in questo periodo non ci pervengano tracce di lungometraggi animati compiuti, vi fu costantemente un fermento disomogeneo e diversificato ma nello stesso tempo incoraggiante e prolifico di idee e produzione di animazioni, con alcune importanti collaborazioni di artisti stranieri e sconfinamenti dei nostri artisti dal perimetro geografico made in Italy. Ho già accennato al fatto che in questi anni i lungometraggi animati compiuti sono quasi inesistenti, ma vorrei raccontare l’avventura che risale al 1935 di tre artisti: Gioacchino Coalizzi, in arte Attalo, insieme a Raul Verdini e Barbara Mameli che fallirono cercando di realizzare un "Pinocchio" animato tutto italiano.
Dato i tempi e la non-conoscenza da parte dell’équipe di come si doveva raggiungere in sede tecnica un’animazione fluida, dalle azioni quindi del protagonista alla fluidità dei movimenti delle altre figure, questo ambizioso progetto fu un vero fallimento: gli stili dei tre disegnatori, anche se combinati insieme risultavano completamente diversi, inoltre ad un certo punto incominciarono a scarseggiare anche i soldi. Attalo a distanza di tempo (1969) disse dell’accaduto:
"Lo so, oggi la cosa può apparire inverosimile, ma andò veramente così!". (1.)
E’ il caso di citare il contributo della pittrice fiorentina Liontina Indelli, in arte Mimma, nell’ambito di alcuni esperimenti all’estero. Una volta trasferita a Parigi, dove aveva avuto modo di conoscere personalmente i due grandi artisti del cinema d’animazione (Émile Cohl e Georges Méliès, geni del cinema a trucco), nel 1934 insieme all’animatore Pierre Bourgeon riesce a ultimare un mediometraggio "La découverte de l’Ameérique" e due cortometraggi "Dorothée et les Fantomes" e "Le fromage d’Hollande".
Il pubblico accolse questi lavori con entusiasmo e l’anno seguente Mimma fu impegnata in una doppia realizzazione di due lungometraggi, con la collaborazione del marito Paul de Roubaix, che si occupava dell’animazione: "Christophe Colomb" e "La coche et la Mouche", tratto dall’omonima favola di La Fontaine.

"Dorothée et les Fantomes" e "Christophe Colomb" di Leontina Indelli, 1934/35

Purtroppo un incendio, calamità che altre volte si è abbattuta sul lavoro degli animatori distrusse i nastri impressionati e quindi non si videro mai e presa dallo sconforto decretò la fine della sua attività all’interno del cinema passo uno.
Analogamente durante questi anni in Italia si possono riscontrare alcuni short firmati dall’artista tedesca Lotte Reiniger, maestra nel campo delle sue famose silhouette.
Una scelta tecnica che trova le sue radici dalle "ombre cinesi" utilizzate gia molti anni prima dall’artista Caran D’Ache, animando dietro un sottilissimo schermo trasparente delle figure in ferro dotate di arti snodabili.
Così oltre mezzo secolo dopo la Reiniger incomincia a lavorare su silhouette ritagliate con estreme pazienza che, grazie alla bravura dell’artista, fanno dimenticare la loro misera consistenza.
Nel 1933 in Italia porta a termine l’opera "Carmen" parodia dell’omonima opera di Bizet e nel 1940 confezionò sempre in Italia un altro short : "L’elisir d’amore" un piccolo capolavoro di tutto rispetto.
Lo stesso anno il critico Gianni Puccini compone per la rivista "Cinema" un lirico giudizio di cui ne riporto qui di seguito alcune frasi:
«…Nella poetica verità della fiaba, si sentono il sole, un vento leggerissimo di primo pomeriggio, il fresco sotto il plenilunio; come elementi di una realtà dolce, riveduta ed afferrata dalla mano rabdomante dell’artista, pronta a cogliere con superiore giudizio motivi e colori propizi e a trascurarne ogni altro. Il punto più bello del filmetto, per l’illuminazione malinconica o quasi, direi, per la tenera emozione che suscita, è la scena dell’amore finale, sotto la luna.
Il riverbero della luna, i delicati profili dei due amanti, formano una suggestione sicura e straordinariamente cinematografica.Le figure della Reiniger, vivificate dall’affetto, hanno sempre un che di teneramente restio nei movimenti, non trovano il coraggio di buttarsi brutalmente nell’avventura, di seguire ciecamente gli impulsi. Uno scrupolo morale tutto europeo, tutto coltivato, li trattiene sempre
». (2.)
Se il periodo prebellico ha significato in Italia il periodo delle conquiste personali, ne sono un esempio i già citare i fratelli friulani Carlo e Vittorio Cossio, anche il giovane artista di origine italo - russa, Paul Bianchi, compare sulla scena dei cortometraggi come esperto animatore dei pupazzi e degli oggetti solidi animati.
Sul finire degli anni ’20 i due fratelli Cossio incominciarono a lavorare su alcune pubblicità utilizzando dei pupazzi ritagliati dal cartoncino muniti di arti snodabili.
Lo stesso Vittorio Cossio ebbe ad affermare a quell’epoca:
« Le articolazioni erano possibili perché nei punti di attacco delle braccia e delle gambe, a mezza vita e alla base del collo, venivano messi pezzettini di rame che tenevano insieme le parti.Posati sulla scena in piano, sotto una cinepresa verticale, i personaggi erano poi mossi a mano e, in fasi successive, fotografati un fotogramma per volta. Naturalmente i movimenti erano limitati al solo profilo delle figure ritagliate, a salti e ad azioni cioè senza prospettiva.
Per ottenere effetti più in profondità, si disegnava a volte il personaggio sulla scena, che era poi ripetuta con le modifiche inerenti all’azione, ad ogni fotogramma, compresa la scenografia
.» (3.)
In effetti i due fratelli Cossio dovevano apprendere alcuni accorgimenti di natura tecnica costati tempo ed energie a molti, senza possibilità di un confronto con altri su tutta la penisola.
La tecnica del "rodovetro" trasparente, indispensabile per arrivare a dei risultati espressivi soddisfacenti, permetteva di disegnare una sola volta il paesaggio o lo sfondo scenico, così facendo i personaggi da animare venivano disegnati e posti su fogli di acetato e di cellulosa trasparenti. Questa tecnica sarebbe stata inventata nel 1914 dall’americano Hurd, ma in Italia, senza nessun tipo di confronto, questo procedimento sarebbe giunto molto più tardi.
La passione per il cinema avrebbe condotto i fratelli Cossio a partecipare nel 1932 al Festival San Carlo di Milano con il cortometraggio "Zibillo e l’orso".

"Zibillo e l'orso" di Carlo e Vittorio Cossio, 1932

Il disegno animato italiano era considerato il parente povero del cinema dal vero e questo cortometraggio sarebbe passato inosservato se Massimo Milda non avesse levato la voce scrivendo un pezzo critico:
«Considerato questo esempio di disegni animati un tentativo, preparato con mezzi di fortuna e con una organizzazione minuscola, bisogna riconoscere che, come inizio, il passo può essere lusinghiero. A parte i difetti di rifinitura,…[], il film c’è, e buono. Molto movimento, le figure e i paesaggi sono vivi, non mancano nemmeno gli accorgimenti ed i particolari comuni ai grandi americani, come Disney e Fleischer(…).I protagonisti, un orso e un bimbo, sono espressivi e ben disegnati ». (4.)
Scoraggiati non dai risultati ma dalla precarietà del lavoro di certosini del cartoon dopo il 1937 i fratelli Cossio si ritirarono nell’attività di fumettisti che li aveva impegnati anni indietro e che in tempi di boicottaggio politico del prodotto straniero dava qualche garanzia di continuità.

Note:

1. "L’Italia in cartone", affermazione di Attalo riportata da Piero Zanotto e Fiorello Zangrando, pag.12.
2. "L’Italia in cartone", "Elisir di ombre cinesi", pag 24-25, in "Cinema" v.s., n°96, 26 giugno 1940.
3. "L’Italia in cartone", "Guida alla pubblicità cinematografica", pag 26, Milano, "L'ufficio Moderno", 1957.
4. "L’Italia in cartone", "La pazienza di Giobbe", pag 29, in "Cinema" v.s., n°99, 1940.