Fino al 1976 quindi non vi fu altro cambiamento. Con l’arrivo ufficiale del televisore a colori in Italia cambiarono molte cose.
Tra la fine gli anni Settanta e in tutti gli anni Ottanta i consumi diventano la rappresentazione di una realtà sociale diversa, nella quale la pubblicità si ritrova libera di sfruttare linguaggi, stile e, inevitabilmente si fa sempre più pervasiva. Dal punto di vista economico, la pubblicità diventa il meccanismo di sostentamento per l’economia, capace di di far muovere l’intero sistema: più è affollato il sistema e più spazi bisogna vendere e, più spazi bisogna vendere più brevi e ripetitivi saranno i comunicati.
In questo senso cambia proprio il modo di concepire il messaggio pubblicitario: per riuscire a controbilanciare la disatrazione si cercherà di sostituire i lunghi tempi, appartenuti al vecchio "Carosello", con tempi da 60", da 30" e poi infine da 15" o, a volte anche da 7", in modo che il consumatore più disattento venga catturato dalla pervasività dei messaggi pubblicitari.
La pubblicità del teatrino a ritmo di tarantella perciò lascerà perciò il posto ai telecomunicati, e agli "spot", concentrando il discorso in "break", sempre più corti e ripetitivi.
Un’altra particolarità riguarda la formula pubblicitaria: "Carosello" veniva inserita e scandita dall’organizzazione dei palinsensi e dei programmi, viceversa lo "spot" si insidia e scandisce i tempi di programmazione e dell’organizzazione dei palinsesti. La pubblicità da parte di un economia marginale diventa proprio fattore essenziale, anche per la televisione di Stato.
Nasce l’audiance proprio quando arriva alla pubblicità televisiova l’inserzionista.
Già dai primi anni Settanta erano nate le prime reti commerciali ma distribuite solo a livello locale. A partire dal 1980 nasce Canale 5 dall'imprenditore Silvio Berlusconi, e questo fu il primo network televisivo privato ritenuto una valida alternativa all’unica distribuzione di pubblicità della rete pubblica, la Rai.
In poco tempo gli investimenti nella pubblicità da parte delle aziende italiane aumentarono enormemente esplodendo nel 1983: dove per la prima volta la raccolta pubblicitaria della Sipra venne battuta della Pubblitalia, la concessionaria privata di Canale 5.
Prima dell’arrivo in Italia della televisione a colori (1976) c’era il monopolio della produzione televisiva, era quindi impensabile acquistare programmi a colori dalle più grosse fornitrici estere.
Immediatamente dopo il 1976 i grandi fornitori di programmi (americani, inglesi e sud americani) che avevano da diversi anni ammortizzato i costi di produzione in casa, vendettero in Europa programmi a basso costo, e anche l’Italia si ritrovò a frequentare i mercati internazionali.
In questo vortice economico la pubblicità si ritrovò al centro di grandi modifiche. "Carosello" aveva vissuto il suo periodo di successo: gli italiani avevano potuto accedere tra uno sketch e l’altro al mondo dei consumi, e artisti e autori che avevano lavorato dietro le quinte del teatrino, avevano potuto crescere professionalmente. Gli anni Ottanta si lasciano alle spalle "Carosello", un mezzo di comunicazione pubblicitaria considerato ormai obsoleto, e al suo posto la pubblicità viene racchiusa nello "Spazio F", su cui regole con tempi più serrati della Sipra lasciano il posto alla comparsa del marketing.
I tempi furono ufficialmente ridotti: da 60" iniziali, i comunicati pubblicitari dovevano essere riassunti in tempi standardizzati di 30", 15" e 7". Nasce "l’Auditel" (rilevazione dei dati di ascolto televisivo), mezzo con la quale non solo si può controllare l’indice di gradimento ma sapere con precisione la riuscita o meno della programmazione. La pubblicità muta radicalmente sia nello stile, sia nell’ideazione e produzione dei messaggi: vengono chiamati dall'estero registi e direttori della fotografia, sopprattutto dall’ America e dall’ Inghilterra, che ben presto sostituiranno la bonarietà e la simpatia dei comunicati all’italiana, con nuovi standard e canoni estetici e, la fruizione e il consumo, verrà basato sempre più su una sofisticazione del prodotto e della sua immagine.
Caffè Hag 1967 e Nescafè 1957. Le pubblicità a confronto promuovono la stessa tipologia di prodotto. Nel caso della Nescafè il lavoro dell'artista Alexandre Alexeieff genera un'interessante contaminazione tra arte e pubblicità con un messaggio pubblicitario alquanto originale.
Cosa succede ai nostri animatori?
Dalla seconda metà degli anni Settanta la Rai decide di adeguarsi e puntare sui prodotti d’importazione, per far fronte alla concorrenza delle emittenti private. La televisione italiana così in pochi anni diventa la maggiore importatrice di fiction straniera e, l’arrivo dei cartoni giapponesi nel nostro paese, decretano la fine di una produzione animata nazionale. Sono pochi gli spazi lasciati ai nostri creativi.
L’animazione italiana in questo nuovo contesto televisivo subisce una forte battuta d’arresto: alla fine degli anni Settanta si contano ,nella programmazione annua, almeno 4000 ore di animazione dei quali il 97% di origine giapponese e di cooproduzioni coreane. Non solo la televisione non veicola più la pubblicità animata, ma il prodotto nazionale viene sostituito dall’acquisizione in maniera massiccia di prodotti importati: sono sopprattutto le serie d’animazione giapponese che, insediandosi prepotentemente nei palinsesti italiani tendono ad avere la meglio con le infinite di guerre interplanetarie e le arti marziali. Un esempio è dato dalla comparsa nel maggio del 1978 della serie "Atlas Ufo Robot".
"Ciocorì e Biancorì" di Bruno Bozzetto
"Candy Alisè" disegni di Libero Gozzini
Pubblicità Tabù
Nel 1982 nacquero "Italia Uno" e "Retequattro", dall’editore Rusconi e dal Gruppo Mondadori, successivamente comprate da Silvio Berlusconi nel giro di due anni.
L’enorme sviluppo del sistema televisivo italiano cambiò nella forma con l’arrivo dei canali commerciali e, questa fase determinò la crescita degli investimenti in pubblicità.
La pubblicità degli anni Ottanta quindi pian piano raggiunse un livello internazionale di maturità comunicativa risultando di buona creatività ed efficacia: anche nel nostro paese ebbero successo le serie di spot, dove l’utilizzo di un prodotto o di una nota marca si impone come status simbol sociale (sono solo degli esempi Levi’s, Vodka Absolut, Coca Cola, Nike, Chanel). Si arriva perciò agli anni Novanta, dove la creazione di più tv commerciali (come ad esempio Telemontecarlo e Videomisic acquistate da Vittorio Cecchi Gori nel 1992) porta all’aumento e alla ripetitività del messaggio pubblicitario: se da un lato le agenzie alzano il livello di efficacia comunicativa dei prodotti pubblicizzati, dall’altra parte dello schermo la pubblicità trova un consumatore esigente e infedele pronto a fare "zapping" tra una rete e l’altra. La pubblicità nella televisione risulta così costantemente presente, spostandosi, non solo dall’animazione alla produzione dal vero, ma i messaggi, uniformandosi al modello internazionale, risultano più veloci, innovativi (anche tecnologicamente parlando) e sempre più sofisticati, adatti al consumatore dell’era delle nuove tecnologie .
1. "Scatola a sorpesa. La Gamma film di Roberto Gavioli e la comunicazione audiovisiva in Italia da Carosello a oggi. Presentazione di Sergio Zavoli" Editoriale Jaca Book SpA, Milano, 1998.
2. "La fabbrica dell’animazione. Bruno Bozzetto nell’industri culturale italiana, a cura di Giannalberto Bendazzi e Raffaele De Berti, Editrice "il Castoro" S.r.l. , Milano, 2003.