lunedì 16 febbraio 2009

5.0 “Dalla televisione alla Computer Animation”

Monoscopio Rai del 1986

Per circa venti anni, dal 1954 fino al 1976, anno di arrivo del colore, in Italia si sono visti programmi rigorosamente in bianco e nero. Oltre l’aumento delle ore di trasmissione e magari una ricevibilità più capillare, non vi furono grossi cambiamenti, a parte uno molto importante, un cambiamento strutturale: nel 1962 nacque il secondo canale tv.
Fino al 1976 quindi non vi fu altro cambiamento. Con l’arrivo ufficiale del televisore a colori in Italia cambiarono molte cose.
Tra la fine gli anni Settanta e in tutti gli anni Ottanta i consumi diventano la rappresentazione di una realtà sociale diversa, nella quale la pubblicità si ritrova libera di sfruttare linguaggi, stile e, inevitabilmente si fa sempre più pervasiva. Dal punto di vista economico, la pubblicità diventa il meccanismo di sostentamento per l’economia, capace di di far muovere l’intero sistema: più è affollato il sistema e più spazi bisogna vendere e, più spazi bisogna vendere più brevi e ripetitivi saranno i comunicati.

In questo senso cambia proprio il modo di concepire il messaggio pubblicitario: per riuscire a controbilanciare la disatrazione si cercherà di sostituire i lunghi tempi, appartenuti al vecchio "Carosello", con tempi da 60", da 30" e poi infine da 15" o, a volte anche da 7", in modo che il consumatore più disattento venga catturato dalla pervasività dei messaggi pubblicitari.
La pubblicità del teatrino a ritmo di tarantella perciò lascerà perciò il posto ai telecomunicati, e agli "spot", concentrando il discorso in "break", sempre più corti e ripetitivi.
Un’altra particolarità riguarda la formula pubblicitaria: "Carosello" veniva inserita e scandita dall’organizzazione dei palinsensi e dei programmi, viceversa lo "spot" si insidia e scandisce i tempi di programmazione e dell’organizzazione dei palinsesti. La pubblicità da parte di un economia marginale diventa proprio fattore essenziale, anche per la televisione di Stato.
Nasce l’audiance proprio quando arriva alla pubblicità televisiova l’inserzionista.
Già dai primi anni Settanta erano nate le prime reti commerciali ma distribuite solo a livello locale.
A partire dal 1980 nasce Canale 5 dall'imprenditore Silvio Berlusconi, e questo fu il primo network televisivo privato ritenuto una valida alternativa all’unica distribuzione di pubblicità della rete pubblica, la Rai.

In poco tempo gli investimenti nella pubblicità da parte delle aziende italiane aumentarono enormemente esplodendo nel 1983: dove per la prima volta la raccolta pubblicitaria della Sipra venne battuta della Pubblitalia, la concessionaria privata di Canale 5.
Prima dell’arrivo in Italia della televisione a colori (1976) c’era il monopolio della produzione televisiva, era quindi impensabile acquistare programmi a colori dalle più grosse fornitrici estere.
Immediatamente dopo il 1976 i grandi fornitori di programmi (americani, inglesi e sud americani) che avevano da diversi anni ammortizzato i costi di produzione in casa, vendettero in Europa programmi a basso costo, e anche l’Italia si ritrovò a frequentare i mercati internazionali.
In questo vortice economico la pubblicità si ritrovò al centro di grandi modifiche. "Carosello" aveva vissuto il suo periodo di successo: gli italiani avevano potuto accedere tra uno sketch e l’altro al mondo dei consumi, e artisti e autori che avevano lavorato dietro le quinte del teatrino, avevano potuto crescere professionalmente. Gli anni Ottanta si lasciano alle spalle "Carosello", un mezzo di comunicazione pubblicitaria considerato ormai obsoleto, e al suo posto la pubblicità viene racchiusa nello "Spazio F", su cui regole con tempi più serrati della Sipra lasciano il posto alla comparsa del marketing.
I tempi furono ufficialmente ridotti: da 60" iniziali, i comunicati pubblicitari dovevano essere riassunti in tempi standardizzati di 30", 15" e 7". Nasce "l’Auditel" (rilevazione dei dati di ascolto televisivo), mezzo con la quale non solo si può controllare l’indice di gradimento ma sapere con precisione la riuscita o meno della programmazione. La pubblicità muta radicalmente sia nello stile, sia nell’ideazione e produzione dei messaggi: vengono chiamati dall'estero registi e direttori della fotografia, sopprattutto dall’ America e dall’ Inghilterra, che ben presto sostituiranno la bonarietà e la simpatia dei comunicati all’italiana, con nuovi standard e canoni estetici e, la fruizione e il consumo, verrà basato sempre più su una sofisticazione del prodotto e della sua immagine.

Caffè Hag 1967 e Nescafè 1957. Le pubblicità a confronto promuovono la stessa tipologia di prodotto. Nel caso della Nescafè il lavoro dell'artista Alexandre Alexeieff genera un'interessante contaminazione tra arte e pubblicità con un messaggio pubblicitario alquanto originale.

Cosa succede ai nostri animatori?
Dalla seconda metà degli anni Settanta la Rai decide di adeguarsi e puntare sui prodotti d’importazione, per far fronte alla concorrenza delle emittenti private. La televisione italiana così in pochi anni diventa la maggiore importatrice di fiction straniera e, l’arrivo dei cartoni giapponesi nel nostro paese, decretano la fine di una produzione animata nazionale. Sono pochi gli spazi lasciati ai nostri creativi.
L’animazione italiana in questo nuovo contesto televisivo subisce una forte battuta d’arresto: alla fine degli anni Settanta si contano ,nella programmazione annua, almeno 4000 ore di animazione dei quali il 97% di origine giapponese e di cooproduzioni coreane. Non solo la televisione non veicola più la pubblicità animata, ma il prodotto nazionale viene sostituito dall’acquisizione in maniera massiccia di prodotti importati: sono sopprattutto le serie d’animazione giapponese che, insediandosi prepotentemente nei palinsesti italiani tendono ad avere la meglio con le infinite di guerre interplanetarie e le arti marziali. Un esempio è dato dalla comparsa nel maggio del 1978 della serie "Atlas Ufo Robot".

Serie animata giapponese di Go Nagai del 1975 trasmessa in Italia su Rai due dal 1978 e successivamente sulle reti private.
La comparsa della televisione a colori inoltre incomincia lentamente a sostituire le tonalità del bianco e nero nelle case degli italiani. Questo passo importante si avvertirà soprattutto come un cambiamento radicalmente dei linguaggi, e l’animazione pubblicitaria nazionale, sarà destinata purtroppo a scomparire senza poter sfruttare le potenzialità del colore. La mancanza di lavoro nel settore decreterà la chiusura di molti studi e altri che dovranno reinventarsi e rimanere al passo con i tempi per non essere tagliati fuori. La pubblicità cinematografica, che precedentemente era riuscita a mantenere un suo spazio, anche se inferiore a quello televisivo, smette di essere prodotta e trasmessa: la televisione, padrona incontrastata, diventa l’unico mezzo (insieme ai giornali, riviste e manifesti) fino a metà degli anni Novanta che veicola pubblicità. L’animazione dalla fine degli anni Settanta a metà anni Novanta trova poca diffusione, ancora meno lo sviluppo di una produzione d’animazione pubblicitaria e, il lavoro dei nostri creativi si concentra in alcune sigle televisive: ne è un esempio quella realizzata da Bruno Bozzetto per la trasmissione "Portobello"del 1977 e del 1987. Pur senza pubblicità il cartone animato continua a essere prodotto e auto prordotto, sia dalla Gamma film che da Bruno Bozzetto, ma il lavoro vero e proprio si sposta in tutti gli anni Ottanta verso la produzione di sigle, documentari e film industriali e istituzionali, sempre e rigorosomante dal vero.A Milano il reparto di animazione della sede di Cinelandia (Gamma Film S.p.A che aveva aperto e ingrandito la sua sede nel lontano 1964 a Cologno Monzese), chiude nel 1979 e viene ceduta alle televisioni di Silvio Berlusconi.Nello stesso anno Gavioli propone ad alcuni tra i più bravi disegnatori di unirsi in una cooperativa la "Erredia 70" impegnandosi in produzioni del disegno animato, del filmato pubblicitario, e della produzione di documentari. Bruno Bozzetto continua nel tempo la produzione di campagne pubblicitarie interamente animate:nel 1978 arrivano in televisione i due personaggi "Ciocorì e Biancorì"per la Motta, i "Pinguini Saila" nello stesso anno, e nel 1988 da vita ai singolari omini della Kellogg’s.

"Ciocorì e Biancorì" di Bruno Bozzetto

Importanti sono stati i contributi della RDA 70, che in questi anni crearono gli spot delle crostatine del "Mulino Bianco" (dai disegni dell’illustratrice Grazia Nidasio) e la campagna della Candy Alisè basata sui disegni di Libero Gozzini, dove gli abiti a ritmo di danza vengono accompagnati dallo slogan "Candy sa come si fa".

"Candy Alisè" disegni di Libero Gozzini

Fare pubblicità fu senz’altro un modo per i nostri creativi di poter lavorare alla propria passione e, nel frattempo, avere la possibilità di crescere economicamente e artsisticamente.
I tempi sono cambiati. Paragonata alle pubblicità di venti anni, dove il rigore del buon costume e questioni di etica avevano sviluppato pubblicità geniali come quella della "Falqui. Basta la parola", la pubblicità degli anni Ottantadiventa meno "proibitiva" : Riccardo Denti uitlizza in forma animata la sagoma di un afro americano per pubblicizzare le liquirizie "Tabù" (1982), associando il colore delle caramelle al colore della pelle di quest’ultimo che agita a ritmo di musica due manone bianche.

Pubblicità Tabù

In tempi non molto lontani questo tipo di pubblicità sarebbe stata immediatamente censurata dalla Sipra perché ritenuta offensiva e discriminatoria.


Nel 1982 nacquero "Italia Uno" e "Retequattro", dall’editore Rusconi e dal Gruppo Mondadori, successivamente comprate da Silvio Berlusconi nel giro di due anni.
L’enorme sviluppo del sistema televisivo italiano cambiò nella forma con l’arrivo dei canali commerciali e, questa fase determinò la crescita degli investimenti in pubblicità.
La pubblicità degli anni Ottanta quindi pian piano raggiunse un livello internazionale di maturità comunicativa risultando di buona creatività ed efficacia: anche nel nostro paese ebbero successo le serie di spot, dove l’utilizzo di un prodotto o di una nota marca si impone come status simbol sociale (sono solo degli esempi Levi’s, Vodka Absolut, Coca Cola, Nike, Chanel). Si arriva perciò agli anni Novanta, dove la creazione di più tv commerciali (come ad esempio Telemontecarlo e Videomisic acquistate da Vittorio Cecchi Gori nel 1992) porta all’aumento e alla ripetitività del messaggio pubblicitario: se da un lato le agenzie alzano il livello di efficacia comunicativa dei prodotti pubblicizzati, dall’altra parte dello schermo la pubblicità trova un consumatore esigente e infedele pronto a fare "zapping" tra una rete e l’altra. La pubblicità nella televisione risulta così costantemente presente, spostandosi, non solo dall’animazione alla produzione dal vero, ma i messaggi, uniformandosi al modello internazionale, risultano più veloci, innovativi (anche tecnologicamente parlando) e sempre più sofisticati, adatti al consumatore dell’era delle nuove tecnologie .



Pubblicità della Kodak, 1987

Note:

1. "Scatola a sorpesa. La Gamma film di Roberto Gavioli e la comunicazione audiovisiva in Italia da Carosello a oggi. Presentazione di Sergio Zavoli" Editoriale Jaca Book SpA, Milano, 1998.
2. "La fabbrica dell’animazione. Bruno Bozzetto nell’industri culturale italiana, a cura di Giannalberto Bendazzi e Raffaele De Berti, Editrice "il Castoro" S.r.l. , Milano, 2003.