giovedì 19 febbraio 2009

La mia intervista a Guia Croce

Intervista a Guia Croce alla “Baia del silenzio”, Sestri Levante, 15 Gennaio 2009.

La mattina, dopo aver fatto colazione, presi il diretto delle 10.00 che partiva da La Spezia.
Arrivai dopo quaranta minuti a Sestri. Durante il tragitto pensai a come sarebbe andata e nervosamente controllavo il registratore per vedere se era tutto a posto. “Eccomi” pensai, ero arrivata a Sestri.
Scesi dal treno e uscita dalla stazione ero emozionata.

“E ora?” pensai.
Non l’avevo mai vista e non sapevo come riconoscerla, poi una sagoma di spalle davanti a me si gira.
Immediatamente capì che era lei, le sue prime parole furono:
“Simona?”
“Sì, piacere lei è Guia Croce?”
Ci siamo subito trovate.
“Facciamo così ti porto in un bar, in un bel bar così possiamo chiaccherare!”

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"Noi, i cinquantenni di oggi, siamo cresciuti con “Carosello”, gli adulti lo adoravano e noi bambini, tranne Carosello, non avevamo quasi niente come cartoni animati in tv.
"
"Eccoci qua! "
"...Che bello!"
"Hai visto, vedrai in che bel posto ti ho portato! Voilà! Acchiappa tutto che poi ci pigliamo un caffè!
"
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Parlami delle principali case di produzione di cartoni animati. Quali erano loro differenze?

“In Italia i primi a misurarsi con un lungometraggio di animazione furono i fratelli Pagot, e poi i fratelli Gavioli (Gamma Film), sono loro che hanno iniziato l’avventura italiana del cartone animato.
A mio parere i lavori dei Gavioli sono più interessanti perché la Pagot era molto classica, con dei disegni sempre un po’ alla Disney, sempre carini, sempre perfetti, di una enorme professionalità, ma poco spiritosi, poco inventivi. La Gamma dava invece libertà ai collaboratori e c’erano svariate tecniche, svariati stili. Purtroppo io dovendo sempre fare queste cose antologiche, devo sempre metterci personaggi che il pubblico si ricorda, e non basta: tutte le volte c’è sempre qualcuno che protesta perché ho dimenticato qualche personaggio a lui caro. Ma se tu riuscissi a vedere tutta la produzione della Gamma film per Carosello ti accorgeresti che c’erano altri personaggi, alcuni proprio di una modernità sbalorditiva, magari non animati, frame by frame, però con una offerta variata. Poi la Gamma dava spazio anche ai giovani che andavano a lavorare là. La Pagot era di scelte più classiche, tutti i disegni dovevano essere super visionati dai fratelli Pagotto, erano intenzionati a fare un cosa più alla Disney, con un’unità di stile ben precisa. Facendo un paragone ampio la Pagot era più in stile Disney, mentre la Gamma era più vicina alla Warner Bros, se non addirittura UPA Cartoons. Anche se i Pagot hanno creato dei personaggi che hanno valicato il confine dello stesso “Carosello” come Calimero e il Draghetto. Calimero è stato scelto, nella memoria collettiva come il simbolo di Carosello.
Mentre i Gavioli erano un po’ più moderni, un po’ più sperimentatori, e anche più aperti a discorsi nuovi. Per esempio c’era uno che faceva dei bellissimi cartoni animati per la Gamma per pubblicizzare la “Fabbri Editori” e aveva fatto dei caroselli con le vetrate gotiche delle chiese d’europa, accompagnate da musiche di Bach, una cosa molto sofisticata, ma senz’altro fuori dagli schemi caroselleschi. Insomma facevano delle cose anche azzardate, non sempre solo per bambini. Poi c’era Misseri della Kappa che era quello che più si scatenava con i materiali: la carta, la sabbia, quello che gli capitava per le mani, provava ad animarlo.
Nel piattume d’oggi si ritorna ai vecchi cartoni animati, è un continuo riscoprire e non solo su questo argomento. Forse perché adesso non c’è niente o quasi. In più c’è sempre l’effetto nostalgia.



Ma come mai questa nostalgia la sento anch’io anche se non l’ho vissuta?

Forse e’ più una nostalgia dell’italia del dopoguerra, del boom economico, di una nazione rinascente. Allora l’effetto era elettrizzante, che ora non c’è, un’ottimismo diffuso.
L’Italia era un popolo uscito da una guerra, da un periodo di fame, di bombe, di occupazione che di colpo si è trovata a macinare una crescita economica, un ottimismo e, un’euforia diffusa. Credo che quelli che hanno fatto la guerra, una volta finita, abbiano vissuto quattro cinque anni di pura follia vitalistica. Poi come tutte le nazioni in sviluppo si è scivolati nel consumismo, nella globalità ecc.

Volevo fare alcune domande, ce ne sarebbero tante e tante penso verranno fuori parlandone:
nella prefazione del tuo libro dici che: “Carosello si concede al terrificante genere d’atmosfera e quindi si prepara al grande vuoto degli anni Ottanta. In un certo senso questa affermazione può essere paragonata a quella di Massimo Scaglione che afferma: “con la fine di Carosello c’è stato un deficit di creatività”, a parte la pubblicità che si è standardizzata, c’è stata proprio un calo, un deficit creativo?
“Penso di sì, me lo ricordo anche come spettatrice.
In realtà “Carosello” è nato per puro caso proprio perché bisognava fare la pubblicità in televisione come negli altri apaesi, ma non c’erano pubblicitari, cioè c’erano i pubblicitari di cartellonistica, però non esisteva la figura del pubblicitario televisivo. Allora ci si sono buttati a pesce un pò tutti: erano gente del cinema, anche la televisione non esisteva che da poco. Quindi era tutto da inventare : il programma televisivo come la pubblicità. Fai conto dell’assurdità del fatto che non si parlava del prodotto fino ai trenta secondi del codino, era una cosa che per gli americani, che già erano infarciti di televisione e di pubblicità televisiva da anni, era una cosa assurda. E invece questa regola ha permesso di scatenare la fantasia di tutti. Ad esempio nel 1957 per il brandy “Fabbri” si parlava di pittura moderna, vedevi Renato Guttuso o Capogrossi ripresi mentre dipingono su un vetro, con la cinepresa dall’altra parte del vetro. Potevi ammirare un’opera nascere dal nulla, ma la cosa concerneva ben poco la qualità di un brandy. Poi come a tutta l’Italia è venuta voglia di fare gli americani, in America c’erano già tutte queste forme di organizzazione che erano iperprofessionali, c’erano tutte queste figure come il brand manager, lo story manager, il brand designer etc.
Mentre da noi la pubblicità la facevano in tre, si sedevano al tavolino sghignazzavano, e buttavano giù l’idea. Peccato che nel libro non ho potuto riportare le risate che si faceva Peserico quando raccontava la sua ventennale carriera di produttore di caroselli. Ahimè, purtroppo ho solo l’intervista audio, non filmata. C’era tutta questa casualità, tutto questo divertimento, era una cosa fatta un po’così alla “carlona”. Ma “alla carlona” noi italiani abbiamo sempre funzionato molto meglio di quando ci mettiamo a fare i professionisti. Poi sono arrivate le varie Mc Cann & Ericksson e le altre super agenzie. E anche gli stessi capi d’industria trovavano più chic rivolgersi a un agenzia professionale. Tutto ciò è raccontato in maniera molto efficace da Vito Molinari : “Andando avanti verso la metà degli anni settanta, ci fu proprio un cambiamento completo, totale, cioè cominciarono ad arrivare in Italia e a diventare grandi le agenzie che prima erano piccole, ma soprattutto le agenzie americane o le agenzie italiane che derivavano da grandi agenzie americane controllate da vasti gruppi americani. Queste agenzie avevano a disposizione tanti tanti soldi quindi aprirono delle sedi meravigliose, che erano un po' uno specchietto per le allodole, per i grossi clienti, i quali si trovavano di fronte a delle stanze meravigliose, a delle sale splendide, a 25 segretarie, a tante persone che lavoravano nelle agenzie con nomi americani stranissimi. Di cui credo l'80% dei clienti non capiva assolutamente nulla, neanche sapeva, nè cosa facessero, nè cosa volesse dire il nome: cominciando da account.”

E lì sì è finiti al livellamento, quello che io chiamo l’atmosfera. Cesare Tauarelli la racconta bene: “Una volta è arrivato l’americano strapagato che ha girato un Carosello, in una giornata, mentre noi ne facevamo sette o otto, e per fare la pubblicità di un omogeneizzato, c’è voluta tutta la troupe in giro nel parco un’intera giornata per trovare una foglia giusta, quella foglia, solo quella.”
C’è stato poi un’ altra innovazione, il rallenty,la suggestione da atmosfera
mentre il vero “Carosello” è quello da scenetta comica, che viene direttamente dal varietà.
La scenetta comica da una parte, e i cartoni dall’altra, perché i testimonial costavano anche di più.
Un’altra peculiarità di carosello fu la varieta territoriale: erano tante le case di produzione, sparse per l’Italia, anche questo interessante, perché poi non è più stato così. Ora le pubblicità si fanno o a Roma o a Milano. Allora c’erano realtà fiorentine, realtà modenesi, realtà bergamasche, erano cose anche quelle molto familiari.
Piano piano si è arrivati a tutti questi rallenty, questi flou, tutte cose che hanno reso le pubblicità tutte uguali, tutte perbeniste, tutte troppo “politically correct”, ancora non esisteva questa allocuzione ma quello era. E allora piano piano si è ristretto il tempo, si sono moltiplicati gli spazi pubblicitari e hanno trovato più comodo, anche se da parte mia folle, riproporre lo stesso spot quindici volte al giorno per due o tre anni. Mentre “Carosello” doveva essere sempre diverso, per cui la creatività era sfrenata veramente, perché per regola Sacis era che ogni episodio di “Carosello” doveva essere diverso.
Sono state una serie di regole, anche un po’ folli, un po’ “demodé”, a fare sì che “Carosello” abbia avuto questo successo, e abbia avuto negli anni questo eco, perché adesso sono passati cinquant’anni, eppure gli italiani lo ricordano e lo amano ancora.
Adesso quando vedi la stessa pubblicità per otto mesi, se non per due anni, diventa proprio una cosa invasiva ed irritante. Allora era sempre diverso: sapevi qual’era la gag finale, qual’era lo slogan o il jingle ma il resto cambiava, questo era molto divertente.”

Ora la pubblicità crea disturbo.



“La pubblicità comanda la televisione, nel senso che se un programma per quanto bello che sia non porta in prima serata quel tot di audience, cancellano il programma e rimane la pubblicità, allora era esattamente il contrario la pubblicità era messa in un punto ben preciso, in ogni “Carosello” c’erano appena quattro episodi che poi sono diventati cinque, non potevano esserci due pubblicità dello stesso prodotto, e le aziende facevano la fila. Era proprio un mondo all’incontrario rispetto ad oggi.
Adesso invece la televisione rimane in vita grazie alla pubblicità. Si fanno i programmi per inzepparli di pubblicità dove ci stanno, sia gli spot nel mezzo, ma anche le televendite, le telepromozioni. Adesso è proprio una cosa terribile. Ormai tutti hanno un moto di orrore quando inizia la pubblicità, anche perché hanno inventato questa tortura dell’innalzamento del volume.
Carosello era la cosa aspettata da grandi e piccini perché era puro divertimento. Intanto diciamo la televisione di allora era una televisione molto didattica, molto per bene, anche un po’ noiosa.
Il divertimento era il sabato sera con programmi come “Scala Reale” e “Canzonissima”, ma per il resto erano cose serie. Mentre la pubblicità era chiusa in dieci minuti di follia, che tutti aspettavano, era un programma che guardavano tutti.
Quando vado a presentare il libro quasi sempre ci sono delle persone tra i quaranta, cinquanta e sessant’anni, che sono poi quelli che hanno vissuto “Carosello”. Poi ogni tanto, come funghi, spuntano ragazzi, sono quasi sempre persone che studiano comunicazione, pubblicità. Invece a Pavia, a fine conferenza, è arrivato un ragazzino molto giovane, avrà avuto diciasette anni e mi ha detto “Signora, la volevo ringraziare!” Fra le varie cose che avevo fatto vedere, avevo fatto vedere un episodio de“Lancillotto” di Biassoni, molto carino e molto moderno come tratto. Lui mi ha spiegato: “E’ tutta la mia vita che sento i miei genitori che quando si siedono a tavola dicono: “Come mai non siamo in otto?” “Perché manca Lancillotto!” e lui non capiva perché dicessero questa cosa “Adesso lo so perché. Grazie”.Per cui è un fenomeno che è rimasto piantato nel cervello delle persone. E questo poverino avendo diciasette anni non capiva, e si sentiva ripetere delle cose di “Carosello”, che non aveva mai visto.

Ecco Paul Campani in un intervista del 1977 afferma “…poi per forza di cose sono passato alla pubblicità”, per i creativi quanto ha pesato il fatto di essere “limitati” nel fare personaggi e storie per la pubblicità, da noi si sa che i lungometraggi animati non hanno riscosso successo, e quanto ha influito nel lavoro dei creativi concedersi alla pubblicità?

“Ma, per quello che ho notato, io penso sia una questione di età, l’ancora vivo Gavioli che è un uomo di una serenità esemplare, contento ma è anche arrivato a ottant’anni, età che, presumo, ti porti una certa saggezza.
Nell’intervista che hai visto di Paul Campani lui era quasi amareggiato, voleva fare dei lungometraggi, anche se non c’era uno sbocco economico, come avevano dimostrato i poveri Pagot e Gavioli quando ci avevano provato. L’unico, credo, che abbia avuto delle soddisfazioni economiche da un suo lungometraggio animato, sia stato Bruno Bozzetto. E poi devi considerare che quegli anni lì, Sessanta e Settanta, erano gli anni della contestazione, dell’anticonsumismo.
La pubblicità di allora fa ridere riguardo all’aspetto condizionante, ma vedendola adesso perché non c’è mai limite al peggio. Ma allora fare pubblicità era visto come un un vendersi alla società dei consumi, cosa che era vista assai male. Che poi questi artisti l’abbiano fatto genialmente, creativamente, abbiano creato dei personaggi di successo e forte impatto quasi sentimentale, era una cosa che non potevano percepire.E poi è un po’ nella natura dei creativi, mi ci metto pure io, quando riesco a farlo, non sei mai contento di quello che hai fatto , ti sembra sempre di non avere mai fatto abbastanza o di aver avuto dei limiti alla tua espressione, spesso ce li hai. Gli artisti per campare hanno spesso un committente.
C’è da calcolare anche questo: che era un po’anche una vergogna fare il pubblicitario negli anni della contestazione. Dopo è venuto l’orgoglio di fare il pubblicitario verso gli anni Ottanta e Novanta, dove hanno incominciato a fare la pubblicità più brutta.
Credo comunque che Paul Campani fosse un uomo triste di carattere, come spesso succede ai comici e alle persone intelligenti.
Lui e Max Massimino Garnier hanno fatto dei cartoni animati autoprodotti, che io non ho mai visto, ho letto le sceneggiature in questo bel catalogo fatto per la mostra. Erano cartoni di denuncia, molto intelligenti e puntuali, ma se li sono dovuti autoprodurre.
Erano anni di forte pressione sociale e di consapevolezza, per cui magari si sentivano in colpa: invece di fare l’artista mi sto vendendo alla pubblicità.
Giulio Cingoli ha scritto il libro molto interessante delle sue memorie “Il gioco del mondo nuovo”. Cingoli faceva un animazione molto sperimentale anche molto semplice, poco lavorata rispetto ad altre case di produzione, ma aveva delle belle alzate d’ingegno: per esempio ha fatto diverse sigle per la Rai molto belle. Lui racconta, che era un vero “sessantottino”, sentiva il problema di essersi venduti al capitalismo, anche se poi ben peggio è stato fatto dopo.E adesso c’è un totale menefreghismo rispetto all’analisi di cosa fa uno per sé e nei confronti della società. Allora erano altri tempi più di coscienza, forse anche troppa. C’è un pezzo del libro di Cingoli dove racconta che ha perso dei lavori facendo un analisi sincerissima sul fatto che loro erano dei pubblicitari ed erano coloro che imponevano dei bisogni alle persone. Ha perso immediatamente dei grossi contratti.
E poi c’era una forte censura da parte della Sacis che ha influito, nel bene e nel male. Se pensi anche come è successo nel cinema americano ai tempi del “Codice Hays” : spesso le costrizioni di censura e di regole, ai creativi funziona come una sfida e danno anche del meglio, secondo me, per aggirare le regole, le censure. Adesso che c’è tutta la libertà televisiva possibile , a livello pubblicitario, abbiamo una comunicazione davvero ridicola. Poi devi sempre calcolare la specificità del periodo. Io ho cercato anche di rappresentarlo anche quando ho scelto i cartoni dei quattro dvd su carosello, vedi anche come rappresenta socialmente il momento, cioè gli anni Cinquanta, quindi il perbenismo, il boom economico, poi comincia ad arrivare il ‘68 con il contestatario, è tutto esattamente trasposto nell’inventiva di carosello. Il mio sogno sarebbe, a parte continuare questo lavoro di recupero di questi poveri caroselli sparsi in tutta Italia e abbandonati al loro destino di fragile pellicola, farne una storia sociologica, perché lì è rispecchiata la storia sociale dell’Italia di quegli anni”

Volevo sapere se tu sai, gli americani hanno imposto a noi degli schemi e dei ritmi pubblicitari, come era distribuita la loro pubblicità, era più libera dalla censura, come era organizzata?



“La pubblicità americana? Non sono così ferrata, ma mi ricordo che per una pubblicità anche Tex Avery, un genio finito nel grande tritatutto televisivo, se non mi ricordo male, è stato censurato per una pubblicità della “Kalo Dog” , cibo per cani. Credo che anche loro avessero le loro regole, se pensi che si trattava degli anni Cinquanta e Sessanta, MacCartismo e altre belle amenità. ”


In che modo l’arte moderna è entrata a far parte di Carosello?
“Beh in tanti modi.
Innanzitutto c’era Emmer che oltre ad essere un bravo regista di cinema, ed è sempre stato un esperto e appassionato d’arte, aveva fatto questa serie della “Fabbri” dove riprendeva i più grandi pittori contemporanei che dipingevano sul vetro. Poi c’è stato il caso di Pino Pascali, che era un grandissimo, purtroppo è morto molto presto. C’è una tesi su di lui fatta dalla figlia di Sandro Lodolo, che era un animatore, un'altra persona deliziosa, e facevano caroselli con Pino Pascali. Pino Pascali era uno dei fondatori della cosìddetta “arte povera”, purtroppo si è ammazzato in moto che era davvero giovanissimo. Faceva delle bellissime opere, delle bellissime sculture, come anche filmetti sperimentali, era uno molto vivo e poi per campare e mettersi dei soldi in tasca faceva anche “Carosello”, e ne ha fatti di veramente belli!
Uno, lo hai visto sicuramente, perché è quello col torero dell’”Algida”, “Salvador el matador”che ho messo nel dvd del libro.
Pino Pascali ha fatto anche una serie che si chiamava “Il nonno racconta” per la Lazzaroni, dove il nonno costruiva personaggi da favola per il nipotino con tutti gli oggetti di cucina: una grattugia, una pallina, due mollette e faceva tutti questi personaggi che corrispondevano molto allo stile della sua arte.
Poi Pascali ha fatto delle belle scenografie, per esempio per ”La biblioteca di Studio Uno”.
O Fusako Yusaki e la plastilina semovente per la Fernet Branca…. io considero molto come arte anche i “Papalla”, di Armando Testa, che introdusse anche la body art nei caroselli con la serie dei “treni- umani” per la Pavesi. O Bruno Munari per la Olivetti.Ormai il confine tra l’arte e la comunicazione è molto labile.
Se ne erano accorti anche in America tanto che avevano fatto una retrospettiva dei caroselli al “MOMA”, già allora nel 1971, quindi già allora gli avevano concesso la patente di arte.
Ci entrava un po’ tutto. Mi ricordo anche per esempio tecniche varie, anche Misseri, anche se lui si ritiene un artigiano. Tutta quella commistione di animazione e dal vero, tanta sperimentazione, anche Cingoli, in tante maniere. Insomma i precursori della video-arte”

A parte l’animazione classica, c’erano anche altri modi di fare pubblicità per la televisione, c’erano diverse tecniche che venivano utilizzate?



Diciamo che l’animazione conteneva in sé mille tecniche, l’altra era la ripresa dal vero.
Per l’animazione di tecniche ce ne sono state tante, molto spesso erano dettate da mancanza di tempo e da problemi di consegna e budget. Così come al solito le difficoltà ti stimolano , per esempio tante pubblicità di Cingoli erano fatte velocemente ma con il gioco delle luci, erano delle cose veramente nuove ma talmente nuove che poi al cinema ci sono arrivate anni dopo.
Comunque un territorio enorme di sperimentazioni: tutto veniva fatto man mano per ristrettezza di tempi, ristrettezza di budget, ci guadagnavano bene, ma non erano i budget che adesso hanno le pubblicità. Per cui succedeva anche per il cinema indipendente, pochi soldi e molta creatività.
Credo che uno dei più scatenati fosse Misseri che è tutt’ora attivo e continua la sua attività con i figli e, credo che si diverta molto.
I creativi erano anche molto collaborativi, anche se si raccontano in maniera più rosea, però credo che tutti questi animatori credo fossero veramente fieri di far crescere questa animazione italiana, consci di fare un grande lavoro, perché poi erano tutti partiti col voler fare lungometraggi, tutti innamorati di Disney, e quando andavano tutti a Cannes ci andavano tutti insieme, si commentavano l’un con l’altro, si davano dei consigli. Per cui è stato proprio un bel periodo!
Quando la pubblicità è diventata ripetitiva si son perse, oltre che le commissioni alle case di produzione, anche tutta la ricerca che veniva fatta.I fratelli Gavioli inizialmente facevano la pubblicità per il cinema, tutta a colori, quindi belle cose. I Gavioli nel libro “Scatola a sorpresa” ti raccontano la loro avventura con la consapevolezza di fare una cosa nuova, una cosa tutta italiana, nuova per loro, e credo che con tutte queste belle teste abbiano dato un bel contributo. Si divertivano, persino a pasticciare chimicamente quando si mettevano a sviluppare la pellicola, poi spesso trovavano delle cose in maniera del tutto casuali, graficamente parlando. Hanno inventato anche dei macchinari per l’industria cinematografica.

Carosello quindi è nato per dare spazio alla pubblicità, e sull’animazione tutti erano un po’ scettici anche per chi, come i Pagot, l’animazione era anni che la facevano. Come era possibile?



“Erano scettici anche perché era un lavoro immane, se pensi che allora non è come fare animazione oggi e soprattutto non aveva un riscontro economico, era un po’ una battaglia contro i mulini a vento. In un intervista di Paul Campani che ho messo nel libro parla del suo primo lavoro “l’asino e la pelle del leone”, che è andato malissimo, eppure se lo guardi è fatto molto bene. Un po’ non era nella nostra cultura, e poi noi siamo “esterofili” più che mai: per cui qualsiasi cosa viene dall’esterno va bene, e invece da noi è difficile sfondare. Comunque fai conto che fare animazione era una cosa che non aveva un riscontro, era un lavoro immane, e queste erano industrie e quindi dovevano vendere. Il cinema è un industria e la televisione pure, lo è diventata ancor di più.
Rispetto a quello che ti dicevo prima degli anni tra il Sessantotto e gli anni Settanta, i creativi avevano un certa vergogna, credo che adesso si potrebbero tutti voltare indietro e dovrebbero ringraziare perché la pubblicità è stata l’unica cosa che gli ha permesso finanziariamente di svilupparsi, e anche creativamente. Oggi non c’è più quasi niente di animazione italiana, ce né davvero poca.”

A parte l’azienda di Testa. Ultimamente ha inserito pubblicità che sono simili ai vecchi episodi di “Carmencita e Caballero” di “Carosello”.



Una volta non si facevano tutti questi sondaggi per qualsiasi cosa, né tantomeno gli studi di mercato. Marco Testa stesso mi ha raccontato che negli anni Ottanta, quindi quando era già finito “Carosello”, hanno fatto una ricerca sui personaggi per bambini. Questi bambini ,interrogati, ricordavano “Carmencita e Caballero”, personaggi che avevano valicato il confine della loro scomparsa :avevano raggiunto una sorta di immortalità, post carosello. Non si sa come, ma erano rimasti nell’immaginario di un mare di bambini che non l’avevano mai visto. Una specie di mistero. E infatti Carmencita l’hanno ritirata fuori, tra l’altro, hanno ritirato fuori Carmencita e non Caballero, una conquista femminista.
In quanto ad altre eredità da carosello basta pensare alla campagna “Infostrada”, Con Fiorello e Buongiorno. C’era uno sketch dove Mike diceva: “Sempre più in alto!”, cioè citava sé stesso trent’anni prima, in un carosello della grappa.
E’ il “mistero carosello”, è talmente rimasto nella coscienza italiana che ora i pubblicitari ritornano alla sua formula.



Nel tuo libro viene anche citata la Littizzetto?


Sì c’è stato, adesso è già cambiato, ma c’è stato un periodo in cui la Littizzetto faceva una campagna a episodi che era un’altra pura citazione di “Carosello”. Ed è comunque lei stessa una figura più da carosello che non da pubblicità odierna. Un corpo normale, da persona di famiglia, spiritosa ma familiare.Ed è una cosa rassicurante e divertente. Quello che io trovo finalmente, lentamente, il ritorno a “Carosello” nella pubblicità odierna,è rappresentato da un po’ di spiritosaggine, un po’ più di ironia. Perché ci sono stati dopo la fine di “Carosello” quindici anni di pubblicità “d’atmosfera”, o dove tutti erano vagamente minacciosi, questo “look nero”, questo facce incazzate, minacciose. In realtà la bonarietà è una formula che funziona.
Tutto questo mondo patinato, di bonone e bononi palestrati , non è la faccia degli italiani. C’è stato un allontanamento progressivo dal modello molto familiare, casalingo. Adesso si sta ritornando a questo tipo di pubblicità, evidentemente si fanno due conti e si ritorna alla normalità con Laurenti che balbetta, la Littizzetto, li trovo molto meglio! Anche se non ci vado matta perché ogni episodio te lo ripresentano almeno quindici volte al giorno, ma mi danno meno fastidio che le pubblicità anni Novanta, con degli splendori assurdi dei preziosismi inutili, dei modelli a dir poco irritanti. Zero idee e molta cura delle immagini, maestri delle luci, super registi, e poi spesso e volentieri non ti ricordi nemmeno il prodotto per il quale è stata fatta tutto ‘sto kolossal.
Mi sembra però che un minimo questa grandeur stia scomparendo, e siccome i pubblicitari non hanno idee tornano a “Carosello”.”

Hai pubblicato nel tuo libro alcune cifre degli attori che apparivano nelle pubblicità televisive con dei cachet molto alti, sono rimasta sbalordita, a quell’epoca erano tanti soldi.



“Io ho preso dei pezzi, ma molte più informazioni le potresti trovare nell’ottima biblioteca, quella della Sipra a Torino, che è tutta una biblioteca dedicata alla pubblicità. Lì troveresti dei dati ben più precisi, io ho proprio messo il minimo oer dare un’idea, questi attori erano dei divi. Rita Pavone era la nostra diva di allora e in pubblicità c’era già un bel giro di soldi. In realtà non a caso si sono buttati tutti a fare “Carosello”, i cinematografari che era già un mestiere dove si guadagnava bene, e il cinema italiano era già in crisi perché era finito il momento d’oro del neorealismo.
Per il cinema allora spompato si erano inventati i cosidetti “Musicarelli” , che erano dei film tra l’altro tremendi, con i cantnti tipo Rita Pavone, Gianni Morandi. Io stessa andavo a vedere al cinema quando ero bambina i miei idoli della canzone. Per cui “Carosello” era un bel business, e infatti ci si sono buttati tutti, tutti gli attori. L’unico che non ne ha fatto è stato Mastroianni, era un uomo semplice e deve essere stato proprio una bella persona.
Insomma di soldi ne giravano parecchi. “


Con l’aumentare dei cachet degli attori è subentrato il personaggio a cartone animato che ha avuto un grandissimo successo.




“Sì, i cachet crescevano ma anche perché quando è cominciato “Carosello” né il committente, ovvero il capo d’industria, né i funzionari Rai, avevano ancora ben in mente la potenza persuasiva della televisione. Però dopo due mesi che trasmettevano i caroselli si sono accorti che qualsiasi prodotto presentassi alla televisione, decuplicava le vendite, a volte le centuplicava. Per cui c’è stata immediatamente una guerra terrificante e una gara per arrivare ad avere uno spazio in Carosello , allora il testimonial ha incominciato a dire: “ti faccio guadagnare, allora pagami di più!”. Allora hanno cominciato a dirsi: bisogna staccarsi dal testimonial e così è nato il nostro amato cartone animato.
Inizialmente i cartoni animati non erano nati specificatamente per i bambini, è stato il pubblico a permettere ai bambini di guardare “Carosello”. I pubblicitari si sono resi conto che se acchiappavi l’attenzione del bambino, quello tutto il giorno dopo rompeva le scatole alla madre fino a farle comprare il prodotto. Per cui ad un certo punto è scattato anche questo: arriviamo alla mamma tramite il bambino.Quindi canzoncine, pupazzini, personaggini, e da lì è cominciato l’attacco ai bambini.L’attacco alle famiglie, tramite il cavallo di troia dei bambini.”

Quindi il messaggio pubblicitario era nato per arrivare a tutta la famiglia e con il cartone animato ai bambini?



“Beh, all’inizio no. Se guardi i primi caroselli erano proprio dedicati ai grandi ovvero: c’era Mike Bongiorno che presentava la donna magistrato, c’era Canestrini che insegnava a guidare, perché poi cominciarono a vendere le prime automobili agli italiani. Quindi i primi caroselli erano dedicati ai grandi, poi piano piano si sono resi conto che “Carosello” era uno spettacolo che guardava tutta la famiglia ovvero, mentre la mamma era alle pentole, il papà guardava il telegiornale, poi tutti davanti al televisore per vedere queste scenette comiche e allegre che potevano vedere anche i bambini, e poi dopo a letto.
Lo spiega bene Tony Pagot quando dice “Ci siamo resi conto che per arrivare al portafogli delle mamme, bisognava parlare ai bambini”, ma anche Garnier spiega questa tecnica. Fino al 1966, 1968, tutti i caroselli erano rivolti essenzialmente ai bambini. Era anche un aiuto casalingo, per cui la mamma mentre “spignatta”mette il bambino davanti alla televisione, così finisce di preparare la cena, il bambino sta buono non si rompe la testa con il fratello ecc., era proprio un servizio casalingo.”

Canzoncine e jingles sono servite a dare un supporto a queste pubblicità?



“Certo jingles, slogan, e canzoncine sono servite molto. Ci sono comunque arrivati dopo perché era tutto a livello sperimentale, quando i pubblicitari hanno cominciato a utilizzare la tecnica americana. Da noi era tutto molto casalingo.
Addirittura Peserico, che era un produttore, racconta che facevano il carosello poi correvano a casa per vedere come i parenti reagivano, allora poi cominciavano a dare visibilità alla frase, allo slogan, che alla fine entravano nei discorsi degli italiani.
Poi si scatenarono tutti perché quando qualcuno trovava un trucchetto veniva utilizzato da tutti.”

A me hanno fatto sorridere le voci date ai personaggi, alcuni di loro si esprimevano con cadenze tipicamente regionali, altri con dei fonemi come ad esempio la linea di Cavandoli. L’hai conosciuto?



“No purtroppo no, a me dispiace non averne conosciuti un sacco, avrei voluto conoscerli tutti perché poi traspare dai loro lavori veramente un intelligenza, una simpatia non indifferente.
Mi ricordo, a proposito delle voci, l’inarrivabile Bonomi che dava voce alla Linea e quello rimane uno dei personaggi che a me piace molto. Fin da bambina son rimasta più affezionata ai personaggi negativi, iracondi, che non a quelli troppo zuccherosi. Mi piacevano quelli di Campani “Toto e Tata” perché litigavano” o “Fierezza e nobiltà” per la stessa ragione.
Bonomi secondo me era meraviglioso e penso che senza la sua voce sarebbe stata assai meno divertente.
Poi divertivano proprio questi personaggi ad esempio nel “brodo Lombardi” dove c’era il veneto il siciliano, era un modo intelligente di acchiappare tutta l’Italia perché c’era il vigile che parlava in siciliano, il cavernicolo che parlava il veneto, ed era anche una maniera per unire tutta l’Italia.
Hanno avuto tante idee furbe, però sempre simpatiche, sempre divertenti. Un'altra pubblicità secondo me geniale era quella che fece Luciano Emmer “Gli incontentabili”, una famiglia di carognoni, antipatici come pochi. E’ stato veramente un bel periodo. Era tutto diverso. Era un Italia diversa che non aveva le automobili e andava in bicicletta, non usava il deodorante perché quello glielo ha insegnato “Carosello”.
Una volta uno che mi ha intervistato mi ha chiesto: “si potrebbe rifare Carosello?”
Non lo so. Però sicuramente si potrebbe fare una pubblicità più decente: un po’ più intelligente, un po’ più diversificata, meno condizionante e meno aderente a dei modelli che non sono nostri.
Un altro genere invece che nasce proprio con “Carosello” è il genere demenziale che era già iniziato prima nel varietà, con Rascel che era un vero genio del non-sense, quello che si potrebbe studiare è anche l’evoluzione del genere demenziale, che ormai è sparso ovunque, che ha avuto la sua genesi televisiva in “Carosello”. Vedi ad esempio le gag de I Brutos per la cera Gray”

Ci sono stati attori che hanno avuto successo con Carosello e che poi però non sono più riusciti a togliersi di dosso il personaggio?



“Spesso succede agli attori, ad esempio il povero Cesare Polacco un grande attore di teatro, è rimasto alla storia come quello che non usava la brillantina Linetti o un altro è Paolo Ferrari che raccontava che quando andava in giro sentiva la gente sibilare “Dash, Dash”.
Però hanno anche guadagnato parecchio, anche se in un intervista Cesare Polacco afferma “mi piacerebbe essere ricordato come un bravo attore di prosa”. Anche Franco Cerri è un bravissimo jazzista italiano ma, tutti se lo ricordano come l’uomo che rimaneva in ammollo con il detersivo: “Nooo, non esiste sporco impossibile!” Oppure anche Arigliano per “Antonetto”, che adesso Arigliano ha fatto uscire un disco nuovo, anche lui ultra ottantenne enrgico.”

Come era distribuita in Italia la produzione pubblicitaria?



“Allora le poche agenzie che c’erano si interessavano di distribuzione, di cartellonistica e della pubblicità sui giornali, non sapevano niente di televisione, e questo lo racconta anche bene Testa, che era già affermatissimo come pubblicitario. Siccome non sapeva niente né di cinema né di televisione, si è dovuto molto ingegnare, e si è ingegnato assai bene.
Lui era geniale e aveva bravi collaboratori, quindi sapeva anche circondarsi di persone capaci. Per cui le agenzie erano un po’ lasciate a sé stesse, tantissime di queste case di produzione sono nate un po’ così, era tutto molto semplice.Dopo sono arrivate le agenzie che si sono volute professionalizzare perché altrimenti gli rimaneva solo la gestione del codino di trenta secondi, e loro volevano anche resto dei due minuti, volevano mettere le mani su tutta la torta.”

Più o meno in che anni?



“Verso gli inizi degli anni Settanta. Per i primi dieci anni sono state fatte cose un po’ alla “dilettante allo sbaraglio”.Poi però hanno incominciato a vedere che le agenzie americane facevano i miliardi, e da lì è cominciata la guerra fra le case di produzione e le agenzie: hanno fatto la guerra oppure si sono accorpate, ci sono state varie dinamiche.
Così da un lato c’erano le aziende che sceglievano le grandi agenzie, mentre altri continuavano a fare il lavoro alla casalinga, perché gli era sempre andata bene così.”

Un esempio può essere stato Osvaldo Cavandoli?



“Osvaldo Cavandoli ha avuto la grande invenzione della “Linea”, tanto è vero che è stato un personaggio che è andato oltre alla Lagostina, ma è anche vero che dietro c’era il signor Lagostina che era un grande intenditore d’arte, quindi ha individuato l’essenza artistica di Cavandoli.
Le industrie inizialmente erano familiari, dove a capo di tutto c’era il “cummenda” e pian piano le industrie sono state assorbite diventando delle grandi multinazionali.E’ anche la storia della nostra industria che si è persa, ormai quasi nessuna è italiana, sono state assorbite e altre sono state chiuse.
Mentre allora c’era il signor Bialetti a cui piaceva essere ritratto come l’uomo coi baffi, oppure il signor Barilla, che siccome era amico di Dario Fo, quando Dario Fo è stato cacciato dalla Rai, l’ha preso e lo ha rimesso in video con “Carosello”. Erano delle persone, erano degli italiani, erano delle persone reali, non era un consiglio d’amministrazione, quindi poi i rapporti erano molto diretti. Peserico racconta quando loro andavano a parlare con il committente, con Marchesi specializzato nel far ridere il cliente, senza andare a cercare il super consulente, il super esperto, tutto una serie di lavori inutili secondo me, ma che ora guadagnano un sacco. Eravamo un Italia piccola, eravamo un Italia di contadini che si stavano inurbando.
Marco Pagot in un intervista dice: “gli americani venivano da noi per imparare a fare pubblicità”
“Noi siamo capaci di imitare gli americani, siamo tutti livellati ad imitazione degli americani, mentre loro che hanno un senso di fascino verso l’Europa, studiavano come facevamo pubblicità in Europa. Il “Carosello” era per loro una cosa folle, una cosa che per due minuti non cita mai il prodotto, non fa vedere mai il prodotto, era una cosa inconcepibile. Poi però sono venuti a studiare questa formula di “Carosello”, ma per loro era improponibile perché avevano già gli spazi di quindici secondi carissimi, invece noi avevamo la Rai che non s’era ancora resa conto, per cui concedeva spazi di due minuti e mezzo di “Carosello”. Però loro furono assai curiosi di questo strano fenomeno, me lo raccontò Emmer.Penso che in Italia l’industria della pubblicità era appena nata, e penso che gli americani si stupissero perché si faceva tutto con così poco budget, loro avevano dei budget più che seri, volevano sapere come mai con così pochi soldi si faceva una pubblicità che funzionava così bene, poi si sono accorti che avevamo solo quella. Credo che sia andata così.
So che sia Gavioli che i Pagot avevano rapporti con i cartoonist americani, e hanno avuto più volte complimenti, e anche se le aziende erano piccole rispetto a quelle degli americani, c’era molta inventiva, molta sperimentazione, mentre penso che gli americani a quell’epoca fossero già ingabbiati in schemi ben precisi. Noi italiani rendiamo sempre nell’improvvisazione, poi vogliamo fare gli scientifici, ma risultiamo sempre inpuntuali pasticcioni, ma amiamo imitare gli americani.”

Le industrie pubblicitarie cosa hanno fatto dopo la chiusura di “Carosello”?



“Alcune industrie si sono riciclate, ma erano sempre per spazi di “Tic Tac“, “Break”, sempre più corti, e poi piano piano hanno chiuso. Poi hanno avuto questa bella invenzione di ripetere sempre la stessa pubblicità per mesi, per cui la mole di lavoro si è andata sempre più assottigliando, anche se penso che questi delle grandi aziende pubblicitarie, di guadagni ne abbiano fatti. Ma quando hanno dovuto chiudere per loro deve esser stato un dolore, specialmente in realtà piccole, specialmente come Modena, mettere su un industria e poi mandare a casa la gente dopo anni di lavoro non è bello. Per cui come è cominciata la moda della ripetitività si sono proprio spente.”

Chi è rimasto ha continuato a produrre in qualche maniera anche in ambiti diversi?



“Sì, Gavioli si sono anche molto arrangiati, facendo titoli di testa per i film, effetti speciali, pezzi d’animazione dentro film e per un po’ hanno tirato avanti.
L’unico forse che si separa da tutta questa produzione, in parte, è Bozzetto?
Bozzetto sì, è riuscito a fare anche lungometraggi che hanno avuto un buon successo, come ad esempio “West and Soda”. I lungometraggi che ha realizzato sono belli, spiritosi, poi non so come ha fatto perché aveva la casa di produzione più piccola. Penso che abbia avuto una potenza di testardaggine enorme. I Pagot si sono salvati perché una serie di loro personaggi sono diventati dei personaggi per bambini, come Calimero, e allora libri, merchandising, è uscita anche una serie giapponese di Calimero. La Pagot esiste ancora, si è salvata. E penso che producano ancora libri per bambini e cartoni. La Gamma film ha retto fino ad un certo punto poi ha chiuso. Lo studio non esiste più, esiste Gino Gavioli e la sua magica matita, fa libri, fumetti.
Misseri ha continuato da solo lavorando per l’estero. Forse non c’è stato nè coraggio nè volontà di sostenere queste realtà.”