Carosello" è stato molto di più che semplice pubblicità, ha accopagnato la penisola per "mano" nei meccanismi del consumismo, e per questo è stata la trasposizione spettacolare del cambiamento della società italiana da semplice società rurale a società industriale a tutti gli effetti.
Nell’agosto del 1976 un breve comunicato Rai annuncia la chiusura del programma:
«Vi comunichiamo che, a partire dall’inizio del 1977, le rubriche di pubblicità Tv, "Carosello" e "Intermezzo" (in onda rispettivamente sulla rete 1 e 2) saranno abolite. Esse verranno sostituite da altra rubrica pubblicitaria comune alle due reti televisive". (1) »
Il primo gennaio 1977 al "Superspettacolo di Capodanno con Raffaella Carrà". Alla Carrà toccherà salutare per sempre "Carosello" con una coppa di brandy famoso, anzichè di champagne, entrato a far parte del vivere quotidiano slogan degli italiani "Brandy Stock, il brandy che crea l’atmosfera".
«Eccoci nel 1977: si è chiuso un ciclo. Venti anni di Caroselli Stock. Ed è in nome della Stock che ringrazio tutti quelli che li hanno realizzati e voi che ci seguirete per tanti altri anni. Auguri di buon 1977!. » (2.)
Così, per sempre, "Carosello" chiudeva il suo teatrino. Ormai erano lontani i tempi cui l’appuntamento serale teneva incollati gli italiani al televisore, in attesa, con il minuto di silenzio che anticipava la sigla e i siparietti.
Carosello muore dopo venti lunghi anni. I tempi erano ormai cambiati, come era cambiata l’Italia ed è difficile dare la colpa ad una causa più tosto che ad un altra. Carosello era nato nel periodo del "boom economico e sociale", e aveva partecipato all’evoluzione sociale insegnando agli italiani a consumare e alle aziende ha a comunicare come spiega anche Edmondo Berselli, nel momento in cui la domanda e l’offerta avevano coinciso perfettamente.
Le cause della fine di "Carosello" sono diverse, in parte rintracciabili nella trasformazione sociale e politica italiana a cui si stava assistendo alla fine degli anni Settanta, quindi interna al nostro paese, e poi comunque ci si stava avviando verso una internalizzazione e standardiddazione economica e culturale al passo con gli altri paesi.
Uno delgi ultimi "Caroselli" che bene identificano l’italiano medio alla fine degli anni Settanta è la pubblicità degli "incontentabili", dove non solo il cittadino italiano non si accontenta più dell’unico prodotto, ma è informato competente, conosce i prodotti ed è diventato esigente nelle sue scelte all’interno di un mercato sempre più in espansione.
Quindi l’italiano non è più un consumatore timido e insicuro di sè che ha bisogno di essere educato e guidato per scegliere il meglio.
Con il consumatore, cambiavano le esigenze, i prodotti e cambiava anche il modo di fare pubblictà e fare tv: più commerciale, meno educativa, per promuovere una tv piena di spettacoli e intrattenimento, come la definisce Piero Dorfles(3.) "la tv degli anni Settanta è un luogo dove è festa tutti i giorni".
Fare pubblicità attraverso i "caroselli"era diventata cosa insufficiente e limitato: in primo luogo i costi di produzione, compresi anche i cachet che erano lievitati alle stelle, e in secondo luogo vennero attaccati i tempi. Per fare pubblictà venne deciso dalle grandi agenzie soprattutto americane che 30" erano necessari a pubblicizzare un prodotto. Diciamo che ormai alle porte degli anni ottanta "Carosello", sul primo canale e, "Intermezzo" sul secondo canale, rapprasentavano gli unici spazi della pubblicità, c’era bisogno di un cambiamento.
Un mese dopo la fine di Carosello, nel febbraio del 1977, la Rai incominciò a trasmettere a colori, il che apportò un rinnovamento non solo tecnologico, ma sopprattutto culturale: basta con i caroselli in bianco e nero, ritenuti ormai antiquati che avevano accompagnato la televisione dalla sua nascita con un tono e un clima sociale serio e dimesso, la nuova televisione si impose con nuove possibilità espressive. Queste rispecchiavano una realtà più verosimile e vivace, che insieme ai significati psicologi, di benessere e abbondanza, meglio incarnavano il mondo del consumo.
Una prima responsabile ad aver ucciso "Carosello" è stata l’associazione dei pubblicitari italiani: si era sviluppata una crescente
richiesta da parte di aziende, che per incapacità di sostenere gli alti costi di produzione, ritenevano fosse loro diritto avere accesso alla pubblicità televisiva. La fine di "Carosello" ha in effetti permesso l’accesso alla pubblicità televisiva anche ad aziende più piccole, questa attesa da tempo oltre che dagl’inserzionisti anche dai pubblicitari.
Un altro motivo, di carattere interno non solo alla Rai ma anche alla politica che si andava a delinaere in Italia, veniva chiaramente espresso con l’opportunità alla pari di una bipartizione dell’emittenza pubblica, che cambiò il modo di approccio e di vedere la televisione.
La televisione era nata dal Governo con il ruolo pedagocico, ma a distanza di venti anni il cittadino aveva imparato a consumare, ma sopprattutto a scegliere. Ecco perché era necessaria uno stravolgimento anche dei palinsesti.
Il primo canale non poteva più essere l’unico canale di riferimento. La vita sociale era cambiata, e il pubblico che rimaneva alzato fino a tardi, voleva scegliere altre forme di spettacolo.
Venne deciso perciò che le trasmissioni iniziavano alle 12.30: in entrambi i canali vennero inseriti nuove fascie orarie di programmazione che riscontrarono da subito ascolti consistenti, come la sera tardi, visto che le trasmissioni finivano a mezzanotte, ma anche la fascia di programmazione pomeridiana e all’ora di pranzo.
Un’altra fase fondamentale che apportò un rinnovamento nella televisione italiana fu la liberalizzazione delle emittenti private.
Nel 1976 la Corte costituzionale decretò la liberalizzazione delle emittenti private in ambito locale: il parlamento italiano varò delle norme che autorizzavano il primo segmento di trasmissioni televisiva non esclusivamente Rai, di Stato.
Da un idea iniziale di vendere agli spettatori una televisione di qualità misurata anche dagl’indici di gradimento, all’idea di vendere una televisione di quantità, ovvero del numero di ascoltatori venduti agli inserzionisti pubblicitari. Così la televisione passa da una condizione di monopolio ad una condizione di mercato, nella quale in cambio di una trasmissione di successo gli spettatori ricevono una massiccia dose di pubblicità, superiore a quella proposta nei soli dieci minuti.
Insomma, se "Carosello" prima di finire era stato oggetto di aspre critiche da parte degli intellettuali e opinionisti che lo ritenevano un subdolo strumento del consumismo, ironicamente, con la sua scomparsa si assisterà negli anni Ottanta alla crescita esponenziale della pubblicità televisiva.
Note:
1. "Scatola a sorpesa. La Gamma film di Roberto Gavioli e la comunicazione audiovisiva in Italia da Carosello a oggi. Presentazione di Sergio Zavoli", pag 196, Editoriale Jaca Book SpA, Milano, 1998.
2. "Carosello" di Piero Dorfles, pag.105, Editrice "il Mulino", Bologna, 1998.
3. "Carosello" di Piero Dorfles, pag.111, Editrice "il Mulino", Bologna, 1998.